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Brandtelling: ecco cos'è


Un marchio è una storia. Raccontare questa storia è il compito del brandtelling. Si tratta di creare un legame che va al di là del rapporto produttore/cliente. Si tratta di scrivere un "romanzo imprenditoriale". Abbiamo intervistato Maurizio Matrone, brandteller.

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Quando il marketing incontra la letteratura e il teatro ecco che nasce il brandtelling. Maurizio Matrone, scrittore, autore per il teatro, sceneggiatore per il cinema e la tv (L'ispettore Coliandro, Distretto di polizia e La Squadra) è anche uno dei pochi che in Italia si possono definire brandteller.

 



A lui abbiamo chiesto, innanzitutto, cos'è il brandtelling.

 

«Il brandtelling è, allo stesso tempo, il romanzo che racconta il marchio e il marchio che narra il romanzo.
Il romanzo della Ferrari è la Ferrari della narrazione; il romanzo della Apple è la storia (romanzo) di Steve Jobs.
Questo tipo di romanzo deve possedere l’efficacia di un “classico”, cioè di una storia  mitica perché risulta sempre contemporanea.
L’efficacia narrativa del brand si attesta, secondo me, sul felice incontro di una costante di genere, ovvero il romanzo autobiografico/biografico con una delle variabili di trame che riguardano, in linea di massima, Forza & coraggio - Resistenza & autodeterminazione - Saggezza & curiosità - Entusiasmo & ottimismo - Integrità & purezza - Umiltà & tenacia - Amicizia, amore & umorismo… nel tempo».




Perché un'azienda lo sceglie e in cosa si differenzia rispetto alle tradizionali forme di marketing e comunicazione?

 

«Lo sceglie perché la narrativa crea un legame. Nelle aziende i prodotti e i servizi di qualità, non mancano. Eppure ogni volta che ne abbiamo la possibilità, ci piace aggiungere fascino e valore emotivo alle nostre “cose” e alle nostre attività quotidiane. Sembriamo portati a trasformare continuamente i nostri bisogni in sogni. A sostegno di questa tesi si dice, appunto, che le persone non comprano i prodotti/servizi, ma le storie che essi rappresentano e raccontano. In effetti, se pensiamo,  al brand Chanel, costruito proprio intorno a un sogno, entriamo immediatamente non solo nel sogno, ma nel trip del mito. La pubblicità di Chanel è una non-pubblicità, perché non sembra una pubblicità: il pubblico/consumatore sa già di che cosa si tratta, va sul “sicuro”, si fida della storia e di chi la racconta anche se non l’ha mai “sperimentata” (quanti hanno guidato una Ferrari?). Chanel, in questo caso, non fa marketing, non fa pubblicità, non fa comunicazione, ma branding, ovvero fa dichiarare al consumatore “sì, lo so, lo conosco, mi piace: raccontamelo ancora”. Lo sappiamo bene: non compriamo un articolo di marca, ma senza dubbio il mito che simboleggia. Il mito (ogni mito) è una storia universale, una narrazione potente, che crea un legame sodale che va al di là di qualsiasi valutazione e interesse (finché non crolla, però!). Quand’anche la nostra Ferrari non vincesse un gran premio, noi speriamo-sognamo che vinca il prossimo, perché ci fidiamo incondizionatamente (certo, se perdesse sempre…). Se il valore di legame, famiglia, matrimonio, convivenza, amicizia, appartenenza…, è fondamentale nella vita di qualsiasi persona, figuriamoci nelle aziende!»

 



La storia si racconta dunque a un pubblico, fatto di clienti ma anche di dipendenti dell'azienda legata al brand.


«Se l’azienda (e la sua identità) investe e cresce sui sogni-bisogni delle persone che pretendono fiducia reciproca e incondizionata, beh, il mito e la sua storia vorranno dire davvero molto.
In questo caso il legame “narrativo” è identitario quanto comunitario e conta come e quanto più del prodotto. Il legame si rafforza poi nella “community”, dove tutti ci dicono cosa pensano e ci mettono “la faccia”, come accade nelle relazioni umane face to face-heart to heart o tra gli amici più o meno virtuali di facebook. I social network sono infatti gruppi che strutturano le relazioni condividendo emozioni e storie (esperienze). Perché non dovrebbe accadere altrettanto tra colleghi (clienti e fornitori) uniti da una storia e un sogno comune? Anche nella comunicazione interna è fondamentale la potenza della narrazione perché scambiarsi i racconti è uno dei modi per rendere comprensibile la propria visione del mondo e dunque condividerla. La narrazione non è la “vera” realtà, certo, ma la costruisce, eccome!»

 



Come si svolge il lavoro di un brandteller?

 

«Il brandteller è una figura collettiva (interna o esterna) che costruisce la trama (l’architettura) della storia e si preoccupa di definire come raccontarla.

Nei romanzi (e nelle finzioni) non si parte sempre da un inizio, ma da un evento particolare, da un fatto, da un problema, da una suggestione, da un insuccesso, da una parola chiave, da uno sfondo. Nel seguire le avventure dei personaggi, che entrano ed escono nel tempo della storia come in un gioco di carte, non si arriva mai a una fine, ma a un finale che può restare sempre aperto, un futuro da “progettare”. Le storie (e le loro strutture) sono sempre le stesse: non sono cambiate dai tempi di Omero ai film dei giorni nostri. Quello che conta è come le racconti, con quale stile, con quale gusto, con quale passione, con quale onestà.

È tuttavia evidente che non possiamo raccontare una storia credibile e affascinante senza sapere chi siamo, che sogno abbiamo e in che cosa crediamo perché, se ci pensiamo davvero, quelle persone che non fossero in grado di raccontarsi (scambiarsi) le proprie esperienze, le proprie emozioni e i propri sogni, non esisterebbero.
Ecco, questo è il primo grosso lavoro che il brandteller deve affrontare.

Peraltro v’è da dire che spesso le aziende non possiedono soltanto una storia imprenditoriale ricca di vicende che si possono rendere “archetipiche” e indimenticabili, ma anche un patrimonio narrativo costituito da processi produttivi, luoghi, edifici, spazi, macchinari, volantini, ordini, fatture, fotografie, stampe, manifesti, ritagli che, opportunamente valorizzato, può raccontare altre storie che recano lustro culturale e sviluppano l’identità dell’azienda.
In sostanza il brandteller, il narratore aziendale, dovrebbe saper costruire un “romanzo imprenditoriale” che trasforma la cultura aziendale in impresa culturale capace di “contagiare” se stessa e suoi lavoratori, i suoi prodotti e i suoi clienti storici e potenziali. Una storia che, strutturandone narrativamente l’identità autobiografica, si fa “comunità” valorizzando la coesione verso l’interno e l’esterno, assicura il futuro e ne fonda il mito.»

 



 

Maurizio Matrone (Verona, 1966) scrittore, collabora con Sviluppo Quadri, Formazione e Direzione d’Impresa. Dopo le Belle Arti si è laureato in Pedagogia. Ha passato molti anni della sua vita su una volante della polizia e ha diretto la Fondazione FMR-Marilena Ferrari. Ha pubblicato numerosi romanzi gialli, racconti per antologie e riviste specializzate, opere per il teatro, l'arte e i ragazzi. Ha scritto anche saggi sul lavoro del poliziotto in materia minorile, sul cinema poliziesco, sulla letteratura rinnovabi